La Via di Francesco nel Municipio III Roma-Montesacro.

Cos’è la Via di Francesco? È un itinerario di “fede” che, partendo dal Santuario della Verna in Toscana, attraversa la Regione Umbria e Lazio passando per Rieti, la Sabina fino a giungere nella Città Eterna (dopo aver attraversato per intero il territorio del Municipio III) al cospetto della tomba di Pietro, ripercorrendo i luoghi che testimoniano della vita e della predicazione del Santo di Assisi.

La “Rete Associativa della Via di Francesco nel Lazio” si è costituita per rispondere all’esigenza di promozione e valorizzazione dell’itinerario storico–religioso-culturale-naturalistico della Via di Francesco. Il Coordinamento di associazioni costituito, intende la Via di Francesco come “infrastruttura” di aggregazione e valorizzazione integrata delle realtà culturali e naturalistiche presenti lungo il Cammino. Il “telaio” principale in grado di stabilire nuove relazioni culturali e socio economiche, di interscambio tra aree ed elementi di interesse storico, monumentale e naturale, oggi isolati, contrastandone la frammentazione. Quindi, la Via di Francesco come l’elemento riordinatore legante.

In questi mesi la “Rete” si è messa gratuitamente al servizio dei pellegrini/camminatori per rendere finalmente fruibile il tratto laziale del cammino: segnalando la Via di Francesco con i classici segnavia giallo/blu, individuando e mettendo in rete le accoglienze (punti informativi, dove mangiare e dove dormire), raccontando le peculiarità storiche, artistiche, dei luoghi unici attraversati dal cammino. Uno strumento, il sito web, frutto di un lungo lavoro che desideriamo condividere con tutti voi amanti dei cammini e in particolar modo della incantevole Via dei Francesco. I volontari della Rete Associativa della Via di Francesco nel Lazio (di cui l’Alfa è cofondatrice), sono lieti di presentarvi il sito web tutto dedicato al cammino nel suo tratto laziale. Un sito web, frutto di un lungo lavoro che desideriamo condividere con tutti voi amanti dei cammini e in particolar modo della incantevole Via dei Francesco. Qui il capitolo dedicato al Municipio III

Lungo il Cammino che attraversa il Municipio III, è possibile imbattersi in numerosi siti di interesse storico, monumentale, archeologico, architettonico e naturalistico che caratterizzano il nostro territorio. Venendo da Monterotondo e percorrendo via di Valle Ricca dopo una lunga salita, si giunge all’interno della Riserva Naturale della Marcigliana, dove si apre uno straordinario paesaggio sulla campagna Romana, che si affaccia su  tutta la metropoli,  da cui è possibile vedere la cupola della Basilica di San Pietro. Questa è la visione che compare al pellegrino/viandante. La Riserva Naturale della Marcigliana, con i suoi 4.696 ettari, rappresenta poco meno della metà dell’intera superficie del Municipio III Roma Montesacro, sita tra i comuni di Roma, Fonte Nuova, Mentana e Monterotondo. Una porzione di Agro Romano di inestimabile valore (legiferata riserva naturale con L.R. n.29/97) che racchiude in se realtà naturalistiche, storiche, socioculturali e produttive di notevole rilevanza, oggetto del progetto “Marcigliana in rete” proposto dall’Organizzazione Alfa con il Coordinamento Rete Ecologica Roma Montesacro. La Marcigliana, quindi, come porta d’ingresso alla Città Eterna capace di accogliere adeguatamente il pellegrino/viandante che, dopo un lungo viaggio, giunge alla sua meta.

Torre San Giovanni Percorrendo la Via di Francesco da nord, all’interno della Riserva Naturale della Marcigliana, è possibile scorgere, sulla sommità di un poggio che domina la valle del Fosso le Spallette, la costruzione medievale rievocata per la prima volta col nome di Capitignano in un documento del 1012. Prese il nome di Torre di San Giovanni quando nel 1564 fu acquistata dall’Ospedale di San Giovanni. Fu edificata sulle rovine di una villa romana come torre di vedetta per l’avvistamento di nemici e per la riscossione di pedaggi. Venne costruita con pianta rettangolare, in mattoni e blocchetti di selci, nel XIII sec. Nel XVII sec. la sommità della torre era ancora dotata di merli in seguito sostituiti da un tetto a spiovente.
Lasciata la Torre di San Giovanni lungo via omonima, si raggiunge il Casale Lucernari, Casa del Parco della riserva Naturale della Marcigliana, gestita dell’Ente Regionale Roma Natura da dove parte la Passeggiata della Biodiversità (un percorso di circa 2200 metri all’interno della Riserva). Usciti dalla Riserva, la Via di Francesco, sovrapponendosi ancora a Via di Tor San Giovanni, raggiunge il quartiere di Cinquina caratterizzato da un primo nucleo residenziale, di topologia spontanea e un secondo centro, nato nei primi anni ’80 dello scorso secolo, con lo strumento dei Piani di Edilizia Economico e Popolare. Frutto di numerose e successive varianti, il Piano di Zona “Cinquina”, mostra una eterogeneità di architettura che ne arricchisce l’insieme. Collocato sull’asse di via di Tor San Giovanni attiguo, all’ex borgata di Cinquina, è stato progettato per sopperire alla carenza di servizi di quest’area. Il primo intervento è costituito da case in linea di tre, quattro piani con semplici finiture d’intonaco bianco e presenza di corti aperte, motivo che sarà ripreso negli interventi successivi in forme diverse. Negli ultimi interventi particolare attenzione è stata prestata all’uso di tecnologie referenti alla bioarchitettura. I servizi sono stati inseriti opportunamente al piano terreno degli edifici residenziali, creando quella giusta commistione tra funzioni diverse. Il parco pubblico rivela una piacevole progettazione del verde e delle attrezzature a disposizione dei cittadini. Ai margini del Piano di Zona, in prossimità di via Carlo Baravalle, sul pianoro di Accorrabone in pieno Agro Romano, sono ben visibili i resti di un sepolcro di circa 4 metri d’altezza in struttura laterizia. Il manufatto, a base rettangolare, ha il lato corto del muro perimetrale largo 2 metri e spesso 55 centimetri e presenta un abside all’interno della facciata meridionale. A nord est del sepolcro sono stati rinvenuti i resti di una villa rustica di epoca imperiale. La struttura era composta da un settore residenziale ed uno rustico; quest’ultimo comprendeva un magazzino ed un vano con vasca annessa.
Lasciato il quartiere di Cinquina lungo Via di Tor San Giovanni, il Cammino percorre Via della Bufalotta che, dopo aver attraversato il Grande Raccordo Anulare e l’abitato di Rolando Rocchi, giunge in prossimità del quartiere Talenti e del più recente Piano di Zona di Casal Boccone. Il Quartiere Talenti La zona, oggi occupata dall’attuale quartiere Talenti, era fino al 1958 zona agricola ricca di verde, di coltivazioni e di fondi destinati al pascolo. L’ingegner Pier Carlo Talenti iniziò la prima costruzione di un edificio nell’odierna via Ettore Romagnoli, dove oggi si trova la farmacia vicino al centro gastronomico “Stil Novo Zio d’America”. Era formato da trenta appartamenti che furono ceduti in affitto gratuito allo scopo di attirare i primi abitanti nella zona priva di servizi pubblici. In questo modo nacque Talenti, quartiere che si è sviluppato in maniera disorganica e senza un disegno di livello urbano tale da impedire le notevoli contraddizioni urbanistiche attualmente presenti. L’orografia del territorio ha conformato le strade attuali con i suoi forti dislivelli e le minime dimensioni delle vie interne del quartiere. Si aggiunge a questo l’eterogeneità della tipologia edilizia, che passa dalle prime palazzine signorili di buona fattura, con il verde di pertinenza, alle costruzioni intensive situate nella parte nord. Nel suo insieme Talenti presenta elementi di pregio con le sue zone verdi e le strade alberate, che fanno da quinta agli edifici di buona progettazione che compongono il quartiere. Il Piano di Zona C14   “Casale Boccone” Appartenente alla seconda generazione di Piani di Zona, é posizionato nelle vicinanze di quelli già edificati negli anni precedenti, accanto al P.d.Z. n°6 “Val Melaina” e al P.d.Z. n°7 “Vigne Nuove” ed a ridosso del quartiere Talenti, su Via della Bufalotta. Costituito da edifici in linea, realizzati in cortina e disposti a formare ampie corti, si affacciano su una vallata verde che prosegue fino allo storico quartiere del Tufello, interrotta soltanto dal nuovo viadotto dei “Presidenti”, che collega Colle Salario con la via Palmiro Togliatti. Interessante é la realizzazione della “Strada verde” di via Giulio Antamoro, strada principale del quartiere. Tra i due quartieri, proprio a ridosso di Via della Bufalotta, è facile riconoscere, in tutta la sua altezza,  il Centro idrico della Cecchina. Il Centro idrico è un organismo tecnico che raggiunge valori di vera architettura, l’impostazione del complesso sviluppa un linguaggio innovativo, assumendo una conformazione del tutto originale, che concepisce il serbatoio come una composizione armonica tra i suoi elementi architettonici e la natura che lo circonda. L’impianto è realizzato interamente in cemento armato sempre lasciato a faccia vista, per mettere in risalto la struttura-involucro che lo riveste, dalla relazione di progetto si legge: «che l’invenzione del serbatoio sta nella sua forma che lascia passare al centro i piloni contenenti tutte le condotte, montacarichi e scale di servizio, ottenendo così l’abbinamento statico- funzionale che ha permesso di dare un aspetto molto alleggerito alla base del serbatoio stesso». Il Centro idrico ha ottenuto il premio nazionale IN/ARCH nel 1964 per il miglior progetto realizzato nella regione Lazio (dal sito: http://www.architetti.san.beniculturali.it/web/architetti/home).
Procedendo lungo Via della Bufalotta, si abbandona il Cammino per giungere, attraverso Via della Villa di Faonte, su Via delle Vigne Nuove, lungo la quale è possibile visitare i resti di una cisterna di epoca romana, probabilmente appartenenti alla Villa di Faonte e proseguendo, il Piano di Zona n.7 Vigne Nuove con le sue tipiche torri cilindriche. Casale Chiari (conosciuto come villa di Faonte) Alla fine di via Passo del Turchino, traversa di via delle Vigne Nuove, sono presenti resti di una cisterna a due vani intercomunicanti su archi che, secondo alcuni studi dell’Ottocento, apparteneva   ad una villa di grandi dimensioni probabilmente divisa in due parti, una rustica e l’altra abitativa. Le dimensioni della villa ed il ritrovamento di una lastra di marmo con inciso il nome di Claudia Egloge (nome della nutrice di Nerone) fecero supporre si trattasse della villa di Faonte, dove si uccise l’imperatore Nerone. Ad oggi non si può essere certi della validità di quest’ipotesi vista la presenza di numerose ville nella zona e la diffusione del nome Egloge, presente sull’epigrafe, che oltretutto non venne rinvenuta in sito. Inoltre è ancora da identificare l’ubicazione della via Patinaria (luogo ricordato da più storici come quello nel quale si uccise Nerone) vista la fitta rete viaria che collegava le consolari Salaria e Nomentana. Per maggiori informazioni: http://www.romasotterranea.it/sotterranei-della-villa-di-faonte.html Piano di Zona n.7 Vigne Nuove Questo piano teneva conto delle singolarità orografiche del sito e delle esigenze della viabilità urbana, individuando quattro nuclei edilizi distinti, costruiti in tempi e con modalità differenti. Il primo nucleo del 1972, contemporaneo a Corviale di M. Fiorentino e a Tor Sapienza di A. Gatti, occupa l’area centrale dell’intervento: tre corpi lineari alti e sottili, di matrice lecorbusieriana, a chiudere i tre lati, con al centro il grande spazio aperto destinato a servizi di quartiere, totalmente pedonale, libero dai veicoli, una sorta di piastra di servizi e attività commerciali collegati da percorsi in quota, con l’intenzione di creare un forte punto di accumulazione per l’intero intervento. La sequenza delle grandi torri cilindriche dei corpi scala, memoria di antiche cinte murarie, caratterizza l’immagine dell’intero quartiere su via G. Conti. Articolato su differenti altimetrie collegate con percorsi pedonali ai servizi e alla zona commerciale, rimane però marginale rispetto ai flussi metropolitani, quasi “difeso” dalle stecche residenziali. Il secondo nucleo edilizio, progettato nel 1977, è costituito da cinque torri di sedici piani scalettate, quasi a voler rendere palese il dolce pendio del rilievo del Tufello, ma chiudendo a valle lo spazio dei servizi del precedente costruito del Tufello. Il terzo nucleo, pur se diverso nella matrice concettuale, è impostato sul tema del recupero del tessuto preesistente, sintetizzando le tematiche formali planimetriche dei primi due. Per maggiori informazioni: http://www.archidiap.com/opera/quartiere-di-vigne-nuove-piano-di-zona-n-7/ https://www.youtube.com/watch?v=UyJjekS44kU http://www.studiopassarelli.it/schede/1977VigneNuove/scheda.html http://polinice.org/2016/03/08/il-progetto-di-vigne-nuove-a-roma-missione-incompiuta/
Lasciato il Piano di Zona Vigne Nuove lungo la via omonima, prima di riprendere a camminare lungo la Via di Francesco (che può essere ripresa da Piazza Monte Gennaro), è consigliabile effettuare una breve deviazione lungo Via delle Isole Curzolane, per visitare i quartieri del Tufello e Val Melaina. La zona, individuata a ragione dall’ultimo Piano Regolatore di Roma (2008) come “Città Storica”, è il cuore popolare del Municipio III. La denotazione di “Città storica” data dal nuovo P.R.G. è da ricercare nella considerazione del Tufello – Val Melaina quale punto di accumulazione per la più recente espansione urbana; vi si ritrovano i concetti di pianificazione urbanistica di componente sociale che appartengono alla storia della città in generale e del Municipio Montesacro in particolare. Tufello e Val Melaina Su di un piccolo altipiano chiamato Tufello, sorge uno tra i tanti quartieri popolari periferici dell’Istituto Case Popolari, nei quali furono trasferiti i cittadini allontanati dal centro della città a causa degli sventramenti messi in atto dal regime fascista, per enfatizzare il carattere monumentale e rappresentativo di “Roma Capitale”. Il più antico intervento della zona si trova in Viale Jonio all’angolo con Via Capraia ed è composto da alcuni fabbricati su tre piani degli anni ‘20, contemporanei alle costruzioni di Città Giardino e Garbatella. Le abitazioni sono formate da due corpi coperti da tetto a capanna ed unite da un elemento arretrato ed accessibili da scale esterne. Nel 1935 ebbe inizio la costruzione per gli sfrattati dalle zone di Piazza Navona, Via delle Botteghe Oscure e Borghi e per i primi cittadini rimpatriati dalla Francia a seguito della guerra. Il programma dell’I.C.P. prevedeva tre fasi di sviluppo successivo. Il primo nucleo aveva un carattere semi – intensivo con fabbricati di due o tre piani, dotati di spazi verdi utilizzati ad orto o a giardino. La seconda fase, edificata fino al 1940, è invece intensiva come prevista dal P.R.G. del 1931 con edifici di quattro o cinque piani, di forma lineare senza cortili chiusi. Il terzo intervento, tra gli anni ‘50 e ‘60, propone edifici fino a sette piani, acuendo ancor di più il carattere ad alta densità insediativa e rinunciando alle aree verdi. È evidente nel Tufello un’impostazione di stile razionalista nell’architettura e nell’urbanistica, che si rilegge nella disposizione semplice dei fabbricati, negli edifici puri (costruiti come volumi essenziali), nell’assenza di decorazioni, nella povertà cromatica delle facciate e nello sfruttamento intensivo del territorio. Nel confronto con la vicina Città Giardino, appare evidente la svolta epocale che il razionalismo ha prodotto in Europa e come le sue teorie sono state utilizzate qui in maniera scarna e semplificata, per raggiungere l’obiettivo della maggiore edificazione possibile. I due quartieri nascono con obiettivi molto diversi: la Città Giardino (destinata ad un ceto medio) è stata edificata seguendo le teorie dell’inglese Howard con l’intenzione di realizzare l’ambiente idilliaco distaccato dalla città. Il Tufello, invece, è servito ad accogliere abitanti di modesta estrazione costretti ad allontanarsi dal loro ambiente originario; non è un caso che il cinema neorealista lo scelga per ambientarvi le proprie storie (vedi “Ladri di biciclette “ di Vittorio De Sica). Nel nucleo storico del quartiere è interessante il grande isolato a forma di trapezio, tra Via delle Isole Curzolane, Via Vigne Nuove, Via Monte Massico e Via Capraia, denominato “Quartiere dei francesi”, la cui progettazione risale agli anni ‘40 per ospitare i rimpatriati della seconda guerra mondiale. Anche in questo caso gli edifici sono di elementare forma cubica, intonacati, di monotonia cromatica che accentua l’anonimia dei prospetti. Vivacizzano l’ambiente gli spazi interni dotati di ampie zone verdi arredate con panche, arcate e porticati. Negli anni 1932 – ‘43 fu costruito il grande complesso edilizio di Val Melaina che ricorda i tipici esempi delle case operaie ottocentesche, in genere formate da blocchi di abitazioni a forma di parallelepipedo, con ampi cortili interni, in cui si affacciano gli ingressi dei corpi scala (tipico esempio il “Karl Marx Hof” di Vienna del 1927). Nel 1950 tra Via Capraia e Via Monte Massico fu costruita la chiesa parrocchiale di Santa Maria Assunta, progettata dall’architetto Tullio Rossi e realizzata dall’ingegnere Fornari. Nel 1951 – ‘53 fu realizzato dall’I.C.P., tra Via delle Isole Curzolane e via Capraia, un gruppo di case di cinque piani a volumetria geometrica semplice senza decorazioni, costruite con materiali poveri. Nella Piazza dei Colli Euganei, unica del quartiere, è stato realizzato nel 1958 il mercato coperto, progettato dall’architetto Elena Valentini Romoli, prima architetto donna di Roma. La scuola media Aldo Manunzio è in Via Monte Ruggero ed è dedicata al tipografo e letterato (1447 – 1515) che a Venezia creò il carattere “Aldino” e costituì l’Accademia Aldina dove i membri dovevano parlare in greco. La chiesa del SS. Redentore, opera degli architetti Viviana Rizzi ed Ennio Canino (nel 1977), si trova in Via del Gran Paradiso ed è caratterizzata dalla facciata divisa in tre corpi di fabbrica rispecchiante lo spazio interno. Un’ampia tettoia è posta a protezione del portale di ingresso e sulla parte più alta dell’edificio è stata collocata una croce a forma di stella.
Lasciati i quartieri Tufello e Val Melaina, riprendiamo a percorrere la Via di Francesco da Piazza Monte Gennaro. Attraverso Viale Adriatico, si accede a Città Giardino, quartiere individuato come “Città Storica” dal Piano Regolatore del 2008, come i precedenti quartieri del Tufello e Val Melaina. Le origini “Città Giardino – Aniene” è stato il primo insediamento di epoca moderna nel Municipio Roma – Montesacro. Precedentemente, in età romana, si stanziarono nel territorio oltre l’Aniene componenti di una potente famiglia chiamata Gens Claudia, originaria della città sabina di Regillo. Al tempo di Romolo, il loro capo era Attus Clausus. Questa famiglia, nella storia di Roma, ebbe modo di ricoprire cariche importanti come il consolato, la dittatura, la censura e la porpora imperiale. Sempre al tempo di Romolo  un altro re dei sabini, Tito Tazio, dichiarò guerra ai romani a causa del famoso “Ratto delle sabine”. La mediazione delle donne sabine indusse Tito Tazio a dividere il regno con Romolo. C’è un’altra antichissima storia da ricordare: nel 494 a.C. la plebe si ritirò sul Monte Sacro compiendo un atto di secessione dai patrizi a causa delle ingiuste leggi che li privavano delle libertà. Questa tradizione fu rinnovata nell’ottocento da Simon Bolivar in occasione del suo giuramento per la libertà dei popoli oppressi del Sud America. Per tornare in epoca contemporanea la nascita di Città Giardino si rese necessaria dopo la proclamazione di Roma Capitale che comportò la realizzazione di abitazioni per i funzionari del Governo del Regno d’Italia. La corte, la nuova burocrazia e gli addetti ai servizi del territorio, dopo aver saturato le disponibilità edilizie all’interno della cerchia muraria, si rivolsero dall’inizio del XIX sec. verso la via Nomentana (ex Ficulense). Dopo l’immobilismo dovuto alla durata della grande guerra (1915-18) e sotto la pressione del conseguente inurbamento di masse di contadini dalla campagna verso la città, fu preso il provvedimento di favorire l’edilizia sia per sostenere l’occupazione lavorativa che per il bisogno d’alloggi. Con Delibera del Regio Commissario n°1087 del 16/07/1924, ebbe inizio la costruzione del comprensorio “Città Giardino – Aniene”, progettato dall’architetto Gustavo Giovannoni ed ispirato ai principi delle “garden cities” inglesi, che furono teorizzate e patrocinate in Inghilterra da Sir Ebenezer Howard nel libro “Le città giardino di domani” (1898). Tali principi nel ‘900 ispirarono la costruzione di abitazioni anche in Francia, in Germania e nella stessa città di Roma (Aventino, Garbatella). I principi fondamentali nella costruzione di Città Giardino, considerata tra le più grandi del mondo, furono: -              Rispetto della configurazione orografica del terreno scelto sulle due alture appena oltre l’Aniene; -              La rete viaria doveva seguire il più possibile le dorsali delle piccole colline ed il fondo delle valli seguendo il declivio naturale; -              Uso di scalinate per il collegamento in altezza delle strade; -              Lotti di terreno di circa 1.000 mq. per villini unifamiliari o bifamiliari; -              Costruzione di un ponte della Nomentana sull’Aniene; -              Costruzione di una piazza con i servizi pubblici. La costruzione Le planimetrie del nuovo quartiere furono progettate da Gustavo Giovannoni nel 1919, ed erano previsti lotti di terreno di circa 1000 mq. ciascuno, con tipologia edilizia di villini unifamiliari o bifamiliari. I lavori furono affidati nel 1920 al “Consorzio Città Giardino Aniene” costituito dall’I.C.P. e coadiuvato da sette Cooperative di edilizia sovvenzionata: la benemerita Parva Domus, la società cooperativa anonima Impiegati Statali, la società cooperativa L’Italica, la cooperativa Liberi Professionisti, la cooperativa Giornalisti e la cooperativa Casa Nostra. Un ponte a cavalcavia della via Nomentana sull’Aniene, chiamato Ponte Tazio, dal nome del re sabino Tito Tazio, avrebbe assicurato il collegamento con Roma e piazza Sempione. Piazza Sempione è stata progettata come centro di riferimento architettonico di Città Giardino. I lavori cominciarono nel 1920 per iniziativa della società privata Unione Edilizia Nazionale e dell’Istituto Case Popolari a seguito di un progetto affidato ad un comitato tecnico presieduto dall’architetto Gustavo Giovannoni e composto da Pirani e Del Bufalo. Il servizio di trasporto, all’inizio dei lavori, fu assicurato da un piccolo torpedone che collegava Città Giardino con la Batteria Nomentana da dove si poteva proseguire con la linea tranviaria fino alla Stazione Termini. Tale servizio nel 1922 fu assicurato da un unico tram. Nel 1925 Città Giardino era dotata di tre linee interne con i numeri 9,17 e 40. Nel 1924, dai primi 200 villini iniziali, si arrivò a 700 compresa l’edificazione a cura dell’amministrazione fascista dei complessi di Via dei Monti Lepini, Via Monte Scalambra e Via delle Dolomiti – Viale Jonio, Via Capraia, Via Monte Cimino, Via dei Monti Cimini e Via Monte Fascia – Piazza Ischia, Via Monte Circeo, Via Isola Bella, Via Monte Rosa e via Procida progettato dall’architetto Marcello Piacentini – Via Monte Berico, Via Monte Pollino, Via Monte Velino e Via Della Verna – Piazza Monte Baldo, Viale Adriatico, Via Abetone, Via Titano, Via Monte Tesoro e Via Gargano – Piazza Sempione, Via Monte Subasio, Piazza Menenio Agrippa e Via Maiella, per una superficie di un milione e mezzo di mq. ed uno sviluppo di strade per circa 25 km. Il nuovo quartiere ebbe uno stemma araldico con fondo azzurro, sormontato da una collina d’oro, coronata da otto stelle d’argento a cinque punte con il motto “Nunquam sine luce”. Oggi Attualmente Città Giardino è inserita nel più ampio quartiere di Montesacro ed è confinante con i quartieri di Val Melaina e Tufello, Talenti e Pietralata, ed è separata dal quartiere Trieste e Nomentano dalla linea ferroviaria Roma – Orte e dal Fiume Aniene. Lo sviluppo edilizio dopo gli anni ’50 ha cambiato radicalmente l’aspetto urbanistico iniziale: dalla città estensiva con densità di 100 abitanti per ettaro si è passati negli anni ’60 alla densità di 180 abitanti per ettaro. In tal modo è stata completamente stravolta l’idea della “Garden City”. La memoria di quello che era l’iniziale città giardino, ovvero un susseguirsi di romantici villini circondati dal verde dei giardini ed inseriti in un labirinto di piccole strade e scalinate, si può ritrovare solo in alcuni episodi, come ad esempio nella zona compresa tra Viale Gottardo, Viale Carnaro e piazza Sempione. La concezione della città giardino viene abbandonata negli anni ’50, dando luogo ad un’espansione disordinata e priva di progettazione urbanistica; solo negli anni ’70, con i progetti dei Piani di Zona, si arriva ad una progettazione integrata tra urbanistica ed edilizia del territorio del Municipio III. Proseguendo l’itinerario della Via di Francesco lungo Viale Adriatico e compiendo una breve deviazione su  Via dei Monti Lessini, si giunge nei pressi del complesso  degli anni ’20 del secolo scorso, progettato dall’architetto Marcello Piacentini, compreso tra Piazza Ischia, Via Monte Circeo, Via Isola Bella, Via Monte Rosa e via Procida. Con i suoi cortili interni, i portici e gli ampi ingressi, rappresenta uno dei massimi esempi dello stile architettonico denominato barocchetto romano, utilizzato dai più importanti architetti italiani dell’epoca (Massimo Piacentini, Gustavo Giovannoni, Innocenzo Sabbatini, Costantino Costantini, Mario De Renzi) a Città Giardino come alla Garbatella. Proseguendo lungo Viale Adriatico, particolare interesse riveste l’edificio ex G.I.L. Progettato nel 1934 dall’architetto Gaetano Minnucci, la struttura rappresenta un valido esempio di architettura razionalista italiana degli anni ‘30. Il progetto iniziale prevedeva la casa della G.I.L. (Gioventù Italiana del Littorio) con refettorio, teatro, biblioteca, palestra e due piscine, di cui una coperta, ed altri servizi per un totale di circa 16.000 mq. Nelle trasformazioni successive vi è stato ricavato un ufficio postale ed alcuni uffici municipali, che hanno modificato in modo sostanziale l’edificio. Le piscine, anche se riconoscibili, sono oggi abbandonate e fatiscenti. L’edificio è dedicato a Ferdinando Agnini, studente antifascista e fondatore dell’Usi, che partecipò attivamente alle numerose azioni di sabotaggio contro i tedeschi sulla via Nomentana, via Salaria, Prati Fiscali e Pietralata. Arrestato in seguito a delazione, fu fucilato alle Fosse Ardeatine. Sempre su Viale Adriatico si trova un ampio mercato coperto, opera di M. Muratori (1958). A questo punto la Via di Francesco si dirige verso Piazzale Adriatico per proseguire di nuovo lungo Viale Adriatico dove, salendo una tipica gradinata del quartiere, devia su Via Monte Argentario, quindi su Piazza Monte Tufone, Via delle Alpi Apuane per poi immettersi su Piazza Sempione, penultima tappa ufficiale del Cammino prima della basilica di San Pietro.
Giunti da Via delle Alpi Apuane e superato un ampio arco, si apre davanti al visitatore Piazza Sempione; cuore del quartiere, rappresenta per la Via di Francesco la penultima tappa ufficiale del Cammino prima della basilica di San Pietro. La piazza, concepita in stile “medievale”, ha come punto focale il palazzo civico (oggi sede politica del Municipio III) con porticato ad arcate a tutto sesto, sorrette da pilastri in blocco di tufo bugnato ed enfatizzata dalla torre dell’orologio. Il complesso fu destinato a delegazione municipale, botteghe, scuola elementare, poste e telegrafo ed il progetto fu affidato ad Innocenzo Sabatini, dipendente dell’I.C.P.. L’edificio si sviluppa su quattro piani, di cui i primi tre e la torre dell’orologio risalgono al 1920. L’ultimo piano, costruito negli anni ‘50, non ha stravolto l’impianto architettonico iniziale. Ha ospitato il Liceo Classico Orazio dal quale fu prelevato lo studente di 19 anni Ferdinando Agnini, ucciso alle Fosse Ardeatine nel 1943. La chiesa dei SS. Angeli Custodi fu costruita con un contributo di papa Pio XI, che le diede tale nome in ricordo della chiesetta dell’Angelo Custode di via del Tritone, demolita per l’ampliamento della strada. L’edificio fu ideato dall’architetto Giovannoni in stile cinquecentesco, arricchito da un portale con colonne e finestra – rosone sotto il timpano. La cupola all’interno è arricchita da affreschi di Aronne Del Vecchio. Nel 1948 fu collocata di fronte alla chiesa la statua della Madonna. Piazza Sempione conserva le caratteristiche architettoniche originali, quali il palazzo pubblico con la torre e gli archi in stile rinascimentale. Altro interessante isolato è quello costruito dall’ICP su progetto dell’architetto Alessandro Limongelli e localizzato tra Piazza Sempione, Piazza Monte Baldo, Via Gargano e Via Abetone. La Via di Francesco, lasciata Piazza Sempione, prosegue per Corso Sempione si dirige su Ponte Tazio, in moda da attraversare il fiume Aniene. Noi però preferiamo servirci di una deviazione: Via Maiella, Via Nomentana “vecchia”, Ponte Nomentano, per un prolungamento del percorso di circa 440 metri. Presa Via Maiella, si apre difronte a noi Piazza Menenio Agrippa, sede dello storico mercato del quartiere. Quindi, girando a destra per  Via Nomentana “vecchia”, è possibile scorgere a destra e a sinistra della strada, uno difronte all’altro, i resti di due antichi mausolei di epoca romana. Mausoleo di Agrippa Dell’antica tomba oggi è visibile la struttura portante in calcestruzzo di tufo di forma cilindrica che poggia su uno zoccolo parallelepipedo. In antichità si accedeva al sepolcro attraverso l’entrata costituita da un arco a centro rialzato che si apriva sul lato opposto della strada; oggi l’ingresso che dà sul parco di Ponte Tazio è murato. La camera funeraria è di forma circolare con delle nicchie rettangolari. Il mausoleo era inserito in una vasta area sepolcrale che sorgeva su di un colle compreso tra via Nomentana Vecchia, via Maiella e corso Sempione. In occasione dell’urbanizzazione della zona (per la realizzazione del quartiere Città Giardino), lo sbancamento della collina portò alla luce un gran numero di tombe. In epoca medievale il mausoleo fu adibito a torre d’avvistamento. Di fronte al mausoleo d’Agrippa, a circa 210 metri dal Ponte Nomentano, sono visibili i resti di un altro mausoleo. La tomba è realizzata in calcestruzzo per un’altezza di 10 metri ed è costituita da quattro parallelepipedi sovrapposti di proporzioni progressivamente inferiori. Il materiale utilizzato per il parallelepipedo posto più in basso è la selce, mentre per gli elementi sovrastanti sono stati utilizzati spezzoni di tufo giallo. Il mausoleo, che ha l’accesso opposto alla strada, è di pianta quadrata e presenta una nicchia per lato. La copertura dell’interno è a crociera. Anche questa tomba era attorniata da mausolei e sepolcri posti alle pendici del Monte Sacro, oggi cancellati dall’urbanizzazione di Città Giardino. Poco più avanti, svoltando per Via Falterona, si raggiunge il Monte Sacro: un rilievo di appena 37 metri, oggi adibito a parco pubblico, che è stato luogo di importanti avvenimenti storici. Il primo sciopero della storia Roma, deposto nel 509 a.C. l’ultimo re Tarquinio il Superbo, proclamò la Repubblica. La plebe, che forniva i soldati per le guerre di contrasto ai numerosi attacchi di Equi e Volsci, era oppressa e affamata. Le tante guerre che Roma dovette combattere furono la causa della perdita di gran parte dei suoi territori. In questo contesto a risentirne fu la condizione di vita dei plebei che, tornati dalle guerre, trovarono i loro terreni usurpati da quegli stessi nemici affrontati in battaglia. Questi miserabili, spogliati di tutti gli averi, erano costretti per sopravvivere a chiedere prestito ai ricchi possidenti; debiti che spesso non erano capaci di saldare. La non restituzione di questi prestiti permetteva al creditore, secondo le leggi romane, di disporre della vita del debitore. La plebe decise così di reagire contro la cecità dell’aristocrazia terriera, proclamando quello che sarà successivamente interpretato come il primo sciopero della storia (494 a.C.). Tito Livio ci racconta che dei ribelli, spronati da Siconio, si accamparono per alcuni giorni su un’altura al di là dell’Aniene (che all’epoca prendeva il nome di Monte Velia), procurandosi lo stretto necessario per vivere. I patrizi decisero di inviare Menenio Agrippa, uomo caro alla plebe. Egli, con una parodia tramandataci da Tito Livio come “l’apologo delle membra”, riuscì ad avviare le trattative per un accordo che portò i proletari di Roma alla prima grande conquista sociale: i plebei da quel giorno avrebbero avuto magistrati propri. Il 494 a.C. sarà ricordato dal popolo romano come anno sacro, come sacra sarà considerata la vita dei tribuni della plebe e per l’appunto sarà chiamato “Monte Sacro” il colle oltre l’Aniene dove si svolse il primo sciopero della storia. Sul rilievo fu eretto un tempio dedicato a Giove che divenne luogo di culto per la plebe. La plebe aveva ora i mezzi legali per ottenere nuove conquiste sulla strada della giustizia sociale. Nel 451-450 a.C. furono completate le XII tavole, le leggi che proclamano l’uguaglianza di tutti i cittadini liberi: da queste sarà estrapolato il primo documento di prosa romana. Nel 367 a.C. fu eletto il primo console plebeo Sestio Laterano. Per rievocare la magnifica eguaglianza repubblicana il patrizio Marco Furio Camillo costruì ai piedi del Campidoglio un tempio dedicato alla dea Concordia. Il giuramento di Simone Bolivar In tempi più recenti il Monte Sacro ci rievoca il patriota sudamericano Simone Bolivar detto il libertador, fondatore della Repubblica di Colombia nel 1819 e liberatore del Perù e della Bolivia. Appassionato della storia romana, Bolivar fece giurare ai suoi seguaci di battersi per la propria Patria sulle pendici del Monte Sacro. Oggi, a ricordo di quest’evento, a piazza Monte Balbo, affisse alla scuola Don Bosco, vi sono due targhe sovrapposte:

XVII dicembre MCMXXX

a

Simone Bolivar

Che sul sacro suolo dell’urbe giurò di

restituire a libertà i suoi generosi fratelli d’america.

Roma madre delle genti nel primo centenario della sua morte

dedica questo ricordo e latinamente saluta

popoli redenti dal libertatore

Un juramento inspiro tu grandeza

un recuerdo constante de nosotros la

ensalza y engrandece cada dia mas

mision naval Venezolana de entrenamiento en Italia

Roma, 12 de octubre de 1956

Continuando lungo Via Nomentana, si giunge al cospetto dell’antico Ponte Nomentano che unisce le due sponde del Fiume Aniene, oggi tutelate poiché inserite all’interno della riserva Naturale della Valle dell’Aniene (secondo parco gestito dall’Ente Roma Natura presente nel territorio del Municipio III). Risalente con tutta probabilità al I – II sec. a.C., il ponte doveva già in quest’epoca rivestire un importante ruolo in relazione alla transumanza.

Come i ponti Mammolo e Salario il Ponte Nomentano era in blocchi di tufo e formato da tre archi di travertino, uno grande in mezzo e due piccoli ai lati. Secondo Procopio furono distrutti da Totila nella guerra gotica nel 547 d.C. e ricostruiti nel 565 d.C. da Narsete. In questa fase il ponte assume la sua forma più conosciuta a due archi, del quale rimane l’arcata sul versante rivolto a Monte Sacro. Nella chiave di volta dell’arco verso monte sono raffigurati una testa bovina ed una clava risalenti alla tarda età repubblicana, richiamanti il culto di Ercole, divinità collegata agli attraversamenti fluviali, cui il monumento era dedicato. Oggi il ponte ci appare nel suo aspetto di piccolo castello fortificato medievale: la torre e il nucleo del fabbricato risalgono con tutta probabilità ai lavori di papa Adriano I (772-796), mentre la fortificazione attraverso la doppia merlatura è da attribuire ai lavori del 1461 voluti da papa Pio II. Lo stemma presente sulla torre e raffigurante due chiavi incrociate e la targa di marmo “N. PAPA V” sta a ricordare il restauro effettuato per volere del papa umanista Nicolò V (1447-1455). Il ponte fu teatro, nell’anno Ottocento, dell’incontro tra papa Leone III e Carlo Magno, che giunse a Roma per farsi incoronare dal pontefice “grande e pacifico imperatore dei Romani”. Oggi, questo importante evento del passato, è rievocato periodicamente dallo spettacolo ben inscenato  dall’associazione culturale “Il Carro de’ Comici”. Altri restauri furono fatti per volere di papa Sisto IV (1471-1484), che fissò inoltre un dazio per chi aveva intenzione di attraversare il ponte. Tra la fine del 1400 e l’inizio del ‘500 il ponte si trovò ad essere teatro della lotta condotta contro il potere papale dalla famiglia Orsini. Come tutti i ponti e le porte fu unito alla Dogana di Roma nel 1532. Nel 1849, per fronteggiare le truppe Garibaldine, esso subì danni per opera dei Francesi, i quali ne ripristinarono la transitabilità subito dopo. Il Ponte Nomentano fu inserito tra due aree destinate a verde pubblico, passando indenne attraverso il processo di urbanizzazione iniziato nella zona dagli anni ‘20.

Attraversato l’antico Ponte Nomentano si accede alla pineta che costeggia Via Nomentana Vecchia, progettata dal celebre Raffaele De Vico che, nella prima metà del Novecento, realizzò, con grande gusto e maestria, alcuni tra i più bei giardini, parchi e spazi verdi di Roma. La pineta è inclusa nella più ampia Riserva Naturale della Valle dell’Aniene che si estende per 650 ettari lungo il corso del fiume, dal GRA alla sua confluenza con il Tevere. L’intera area del parco, però, si estende anche nel territorio dei comuni limitrofi, oggi non ancora inserito nella riserva, seguendo in maniera “lineare” il fiume, con i maggiori ampliamenti rispetto alle rive in corrispondenza del parco di Tor Sapienza, dell’area di protezione delle falde idriche dell’acquedotto dell’Acqua Vergine e dell’intera area dell’antico Lago di Castiglione fino a San Vittorino. Nel tratto urbano la riserva è divisa in tre parchi: il parco della Cervelletta (nel Municipio IV), il parco dell’Acqua Sacra, il Monte Sacro, il Pratone delle Valli, oltre ai giardini di Via Valsolda, Via Val Trompia e Via Val di Fassa, all’interno del Municipio III. E’ quindi possibile ricongiungersi con la Via di Francesco attraversando la pineta, Via Nomentana per giungere sulla ciclabile di Via Valsolda che costeggia le rive del fiume Aniene*, all’interno del quartiere di Sacco Pastore. Delimitato dal fiume Aniene, dalla linea ferroviaria, da Via Bencivenga e da Via Nomentana Nuova, è il primo quartiere del Municipio che si incontra provenendo dal centro della città. L’edificazione ebbe inizio a cavallo degli anni cinquanta, cui resta una curiosa testimonianza nel film “L’Onorevole Angelina” del 1947, interpretato da Anna Magnani. L’ambientazione si svolge tra la borgata Pietralata ed i primi palazzi in fase di costruzione sulla via Nomentana. Nel 1929 -‘35 in una cava nella tenuta di Sacco Pastore, allora di proprietà del Duca Mario Grazioli, furono rinvenuti due crani di tipo neandertaliano, attualmente conservati all’Università “La Sapienza” di Roma. Il sito del rinvenimento dei due fossili corrisponde a Via Val di Nievole; ad oggi a ricordo della cava, rimane soltanto il nome di una strada del quartiere. Intorno agli anni ’50 del secolo scorso, il Piano Regolatore prevedeva la destinazione dell’area a parco pubblico, ma questa fu disattesa, in quanto prevalse la speculazione edilizia con la costruzione di abitazioni intensive di otto piani d’altezza, edificate da enti pubblici e da cooperative. Dell’ampio parco pubblico previsto rimane solo un’area verde a ridosso del fiume Aniene, già descritta e dotata di pista ciclabile lungo la quale passa la Via di Francesco. I crani neandertaliano Sacco Pastore Come descritto sopra, nel maggio 1929, a Sacco Pastore, dove era allora presente una cava di ghiaia, viene rinvenuto durante gli scavi un cranio neandertaliano fossilizzato . In seguito a quest’importante scoperta la zona diviene meta di studio. Nel 1935 due paleontologi, il romano Alberto Carlo Blanc e il francese Henri Breuil, in circostanze casuali hanno la fortuna di imbattersi in un secondo cranio neandertaliano. Questi due reperti, che sono stati classificati come pre-neandertaliani e datati a circa 120 mila anni fa, rappresentano tuttora una delle più importanti testimonianze dell’evoluzione dell’uomo di Neanderthal in Europa. Ultimamente, nuove e più approfondite ricerche , hanno attestato a 250 mila anni fa le origini dei due importanti fossili rinvenuti. (http://spettacoliecultura.ilmessaggero.it/roma/primo_uomo_neanderthal_roma_250_mila_anni_fa/1658224.shtml). Oltre ai resti umani e ai diversi strumenti in pietra scheggiata, a Sacco Pastore sono stati rinvenuti anche numerosi resti fossili di vegetali (foglie degli aceri) e di animali (Ippopotami, Rinoceronti, Elefanti e Daini) che hanno permesso agli studiosi di decifrare l’ambiente nel quale l’uomo di Sacco Pastore viveva. Un ambiente caratterizzato da boschi di Querce miste a Carpini, Faggi, Tigli e Aceri, vegetazione ancora oggi presente in Italia nelle regioni centrali. In seguito all’espansione edilizia la zona di Sacco Pastore, teoricamente destinata ad area verde, viene completamente edificata cancellando per sempre il sito. I due fossili umani sono conservati presso il Museo di Antropologia della Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali dell’Università “La Sapienza” di Roma. Possono invece essere visti i calchi dei due crani presso l’importante Museo Nazionale Luigi Pigorini all’EUR. La Via di Francesco quindi segue la ciclabile che da Via Valsolda, Via Val Trompia, Via Val di Fassa e Via dei Campi Flegrei si dirige agli ex “Orti di Guerra” limitrofi al Fosso di Sant’Agnese nel Municipio II. La ciclabile costeggiando il corso dell’Aniene, sempre all’interno dell’omonima Riserva, si dirige verso l’antico Ponte Salario. Citato dalle fonti come Pons Anienis, il ponte collega oggi il Municipio II con il Municipio III, attraversando il fiume Aniene. Rispetto alla diffusa opinione che faceva risalire la realizzazione del Ponte Salario al VI secolo, si deve datare il manufatto all’ultima età repubblicana o all’età augustea. L’epigrafe di Narsete che ornava la spalletta del ponte è, infatti, da attribuire solo alla ricostruzione in travertino in seguito alla guerra gotica, che portò alla distruzione dello stesso nel 547 d.C.. Si può anche supporre, viste le antiche origini della Salaria, che l’opera esistesse già in epoche precedenti, forse con strutture lignee. Il ponte è ricordato in occasione del passaggio delle donne sabine che patirono il celebre “ratto”. Fu anche teatro dello scontro tra Romani e Galli, nel corso del quale si svolse il famoso duello tra un gallo e Tito Manlio, detto Torquato perché indossò il torques (collana tipica dei Galli) insanguinato del nemico ucciso. In occasione della battaglia avvenuta nel 728 d.C. nei pressi del ponte tra l’esercito dell’esarca* Paolo e i Longobardi, fu realizzata sulla struttura una torre difensiva, restaurata in seguito dal papa Niccolò V (1447-1455). Nel 1046 il ponte fu danneggiato dagli Ungheresi. Nel 1798 il ponte fu distrutto dalle truppe napoleoniche, nel 1848 dal generale francese Oudinot e dopo la sua ricostruzione nuovamente devastato nel 1867 dall’esercito pontificio, permettendo al papa Pio IX di ostacolare l’avanzata delle truppe garibaldine. Queste ultime distruzioni cancellarono irrimediabilmente le strutture preesistenti di epoca medievale. Nel 1870 fu ricostruito e infine nel 1930 fu ampliato definitivamente per il maggior traffico che era costretto a sostenere. La struttura Il ponte era in tufo di fidene e travertino, costruito da una campata centrale con una luce di 27 metri e due archi minori su ogni rampa. Oggi, ricostruito per buona parte, conserva ancora visibili un arco di sotto rampa per lato dell’età repubblicana. Non è da escludere che il secondo arco su ciascun lato sia conservato sotto l’interro. Nei pressi del Ponte Salario, si erge un mausoleo databile al I sec. a.C., denominato Torre Salaria. Erroneamente attribuito a Mario (per ipotesi infondata di uno studioso dell’Ottocento che vi riconobbe la tomba di Mario), il mausoleo del tipo a torre a pianta rettangolare, realizzato in tufo, era rivestito all’esterno con blocchi di travertino. L’interno, di cui resta ben poco della fase romana, aveva la pianta a croce greca. Questa tomba doveva far parte di un’estesa area funeraria sviluppatasi intorno al ponte. La struttura, trasformata secondo lo storico latino Procopio in torre di guardia nel 537 d.C. (denominata Torre del Caricatore), è alta 22 metri ed ha le finestre su quattro piani. Le finestre del secondo piano sono state probabilmente aperte in un’epoca successiva. Come testimonia la rappresentazione del Catasto Alessandrino del XVII sec., la copertura doveva essere costituita in origine da una struttura con volta a botte arricchita da merli. Inoltre, accanto alla torre, erano già stati costruiti due edifici bassi. Nel 1396 è ricordata in un atto di vendita di un nobile romano del rione Colonna. Proprietà della famiglia Crescenzi nel 1539, la torre fu spogliata dei suoi marmi nel periodo compreso tra il 1597 ed il 1598 per il restauro della basilica di San Giovanni in Laterano. Dopo aver osservato il Ponte Salario e la Torre Salaria, la Via di Francesco lascia definitivamente il Municipio III Roma Montesacro e si dirige verso il quartiere di Prato della Signora nel Municipio II. Quindi prosegue lungo la pista ciclo-pedonale della Via Olimpica per raggiungere Via della Moschea, Via Maresciallo Pilsudski, l’Auditorium “Parco della Musica”, Viale Tiziano per giungere e attraversare l’antico ponte Milvio. La pista prosegue lungo riva destra del Tevere per arrivare lungo Via della Conciliazione nei pressi della Basilica di San Pietro, meta del nostro cammino. *Fiume Aniene Parenzio era il nome originario del fiume che cambiò nome quando il leggendario re Anio vi annegò per inseguire la figlia Chloris rapitagli da Mercurio. Il fiume Aniene, con i suoi 108 km, scende dai monti Simbruini (sub imbribus significa sotto le piogge) per sfociare nel Tevere in prossimità del Monte Antenne, presso l’antichissimo oppidum di Antemnae, territorio su cui convergevano tre popoli: gli Etruschi, i Latini e i Sabini. Le acque delle sorgenti dell’alta Valle dell’Aniene servivano i quattro più importanti acquedotti di Roma (l’Anio Vetus, l’Aqua Maria, l’Aqua Claudia e l’Anio Novus). Inoltre dalle cave tiburtine lungo l’Aniene arrivava a Roma, tramite battelli, il travertino. Per evitare l’interruzione della viabilità terrestre furono edificati i ponti Mammolo, Nomentano e Salario. *Esarca: comandante militare nell’impero bizantino che, dalla fine del VI sec., fu assegnato ai rappresentanti imperiali con poteri civili e militari sugli esarcati.
Testi e foto: associazione culturale-ambientalista “Organizzazione Alfa”

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